In punta di piedi.
Vuol dire senza far rumore, senza farsi vedere. Una quarantina di anni fa sono andata come medico volontario a Bushulo, nella bellissima regione del Sidamo, Etiopia meridionale. Prima di partire ci hanno tenuto un corso, su come muoversi in punta di piedi. Non dovevamo esprimese idee politiche, mai. In Etiopia c’era un regime di comunismo reale, con annessa caresta di contadini di ordinanza, circa un milione di morti di fame, e una guerra con l’Eritrea. Ci sono delle regole del soccoro: chi soccorre in situazioni disperate, dittature o guerre, deve, sempre essere muto e non esprimere mai giudizi politici, altrimenti fa molti più danni di quelli che risolve. Quello che pensavamo di Menghistu, della situazione, dell’Unione Sovietica, degli Stati Uniti dovevamo tenercelo per noi. Meglio non parlarne, meglio non scriverne. Se avevamo l’abitudine di tenere un diario, parlare solo della bellezza del paesaggio e dei casi clinici. Se volevamo mandare lettere a casa, parlare solo dei casi clinici e della bellezza del paesaggio, altrimenti c’era il rischio di essere identificati come antagonisti dalla polizia di una dittatura di un paese comunista. Durante tutta la mia permanenza mi sono imbattuta in viveri (sacchi di farina o legumi secchi) e medicinali ( grosse scatole di antibiotici, da un centinaio di compresse ognuna), con sopra il logo USA for Africa. Un gruppo di cantanti aveva lanciato una canzone, We are the word, così da usare i proventi per aiutare la popolazione etiope. È stata sicuramente anche un’operazione di marketing, ma posso testimoniare che gli antibiotici comprati e regalati per questioni di marketing, funzionano benissimo come tutti gli altri. Nessuno di quasti cantanti ha mai rilasciato interviste sulla politica di Menghistu. Se lo avessero fatto, gli aiuti non sarebbero arrivati. Il nostro scopo, ci spiegarono al corso, era arrivare a mettere l’insulina dentro un diabetico, e una garza sopra una ferita, non salvare il mondo correggendone le storture. Se quello che volevamo era la pace nel mondo, il nostro posto era il concorso di Miss Universo. Chi va a soccorrere deve avere scopi piccoli, far arrivare quel camion in quel posto, far funzionare quella sala operatoria, e deve essere disposto a sacrificare tutto, il proprio ego, il diritto di esprimere idee politiche, a quello scopo. Se volevamo arrivare a qualcuno e soccorrerlo, dovevamo mettere da parte l’ego e diventare invisibili. Altro punto era sobbarcarci di tutta la tenacia e l’umiltà necessarie per affrontare, prima di cominciare l’impresa, ministeri e funzionari e ottenere tutti i permessi necessari. Nessuno di noi ha mai saputo che faccia avevano, da che parte stavano, pro o contro Serbia, pro o contro Bosnia, gli eroici autisti che hanno portato camion di aiuti alle popolazioni stremate della ex Jugoslavia. Sorridevano ai posti di blocco, distribuivano sigarete e piccole somme per passarli, sempre con la paura della mitragliata e sempre con la bocca chiusa. Qualcuno di voi ne ha mai letto interviste? La barca con cui Greta Thumber ha affermato di voler raggiungere Gaza e l’altra disastrosa spedizione che avrebbe dovuto passare dall’Egitto e dal valico di Rafah, non avevano nessuna intenzione di portare veramente aiuto, di far arrivare medicinali e viveri a chi ne aveva bisogno. In questo caso sarebbero partiti senza bandiere, dopo aver chiesto i permessi ai ministeri dei paesi interessati, Israele nel primo caso, Israele ed Egitto nel secondo, dopo aver concordato cosa portare, così da sapere quali erano le reali necessità in loco. Se veramente lo scopo era portare viveri e medicinali, avrebbero dovuto chiedere i permessi nella maniera con cui si chiedono i permessi quando li si chiede per ottenerli, sottovoce e con estrema cortesia. Avrebbero dovuto concordare con le autorità isreliane cosa portare e come portarlo, avrebbero dovuto concordare con le autorità egiziane l’apertura del valico di Rafah, impresa praticamente impossibile, dato l’odio che gli egiziani nutrono per Hamas, ma forse valeva la pena di tentarla.
I “volontari” che sono passati dall’Egitto sono stati malmenati dalla popolazione e trattati piuttosto duramente dalle autorità. L’Egitto è un paese duro, più volte arrivato sull’orlo della guerra civile, più volte dilaniato dal terrorismo. Il concetto di diritti civili è molto embrionario e il senso dell’umorismo quando si parla di Hamas e Fratelli Musulmani che più di una volta hanno insanguinato il paese, è zero. Persone che si sono presentate con la bandiera di Hamas, senza aver chiesto nessun permesso a nessuno, sono state ritenute una provocazione intollerabile. Queste persone vanno in giro con il loro zainetto Erasmus e la loro pallina di convinzioni ad aumentare il caos de mondo, non a diminuirlo. A Greta è andata benissimo: arrestata dagli Israeliani, trattata a panini, bottigliette di acqua, e viaggio in aereo. Particolarmente ridicola la scena in cui, mentre va verso l’aereo, avendo visto i fotografi, mette le mani dietro la schiena così da fingere di essere ammanettata. Le è stato chiesto di assistere ai terribili 45 minuti di video creati cucendo insieme le entusiaste testimonianze delle belve di Hamas il 7 ottobre, si vede un neonato mitragliato nella sua culla, con il sangue che schizza in tutta la stanzetta, un neonato messo vivo in un forno a microonde. Le immagini sono nauseanti, come tutte le immagini dei massacri veri. Sempre ci sono le urla: ammazza l’ebreo, ammazza l’ebreo, e soprattutto risa. Il ridere felici davanti a un bambino bruciato sotto gli occhi di sua madre, non può essere paragonato a un bombardamento fatto non per “vendetta” o idiozie del genere, ma per far cessare il lancio di missili contro il proprio paese e ricuperare i propri ostaggi. Sia Greta che tutti gli altri si sono rifiutati di guardare queste immagini. Bene: possiamo piantarla di credere alla buona fede di questa gente. Possiamo smettere di ritenere che dei bambini palestinesi a loro importi di più di quelli sudanesi, o ucraini, cioè un accidente di niente. Quanto denaro arriva dalle ricchissime risorse economiche di Hamas? Il movente è il denaro di Hamas. L’armatore della Flottiglia della libertà, la barca di Greta, è di Hamas. La libertà non era quella degli ostaggi israeliani, evidentemente. Trump ha tolto ai palestinesi i fondi, che arrivavano a Gaza dagli USA attraverso l’USAID. Gaza riceve denaro dal Qatar, dall’UNRWA, dall’Unione Europea: questo è denaro documentato. Quello che arriva da Iran ed Emirati non è documentato. E ci siamo posti la domanda: che cosa è stato fatto con il denaro che da 70 anni si riversa sui palestinesi? Sono state comprate armi, scavati centinaia di chilometri di tunnel, che sono rifugi antiaerei e nei quali è vietato l’accesso ai civili. Ogni bambino palestinese morto sotto i bombardamenti è un bambino cui è stato impedito l’accesso ai rifugi. I leader di Hamas, tutti, sono più ricchi di Trump. Ma anche così non basta. Secondo alcuni analisti, anche calcolando i tassi di inflazione, sui Palestinesi è stato versato in 70 anni più denaro del piano Marshall elargito all’Europa nel dopo guerra. Lo spiega la storica Bat Ye’ or nel suo libro Eurabia. Fiumi di denaro da decenni stanno arrivando a uomini politici, burocrati, giornalisti, scrittori, accademici, personaggi dello spettacolo per schierarsi e perpetuare una serie di menzogne, la giustificazione del terrorismo anche più atroce e crudele, l’amore per questo terrorismo. Come in ogni forma di corruzione, non è necessario corrompere tutti. Basta il 10 %. Gli altri, i più sprovveduti, si muovono per conformismo, gratis.