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Importiamo invidia sociale mortale

By Silvana De Mari
23 Luglio 2025
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L’invidia è una delle emozioni più potenti. Solo la paura riesce a essere più forte. L’invidia è anche uno dei motori buoni del mondo. È un fenomeno fondamentalmente fisiologico che può diventare tragicamente patologico. Se in epoca preistorica vedo il mio vicino di casa che caccia più di me perché si è fabbricato una fionda, lo invidio e questa invidia è la motivazione per fabbricare a mia volta una fionda e raggiungere i suoi livelli di caccia. Se in epoca medievale la mia vicina di casa ha una mortalità tra i suoi figli bambini inferiore la mia, la invidio e quindi comincio a imitarla: anche io comincio a lavare tutto, a spazzare più spesso, a impiegare più tempo, perché gli abiti siano puliti e senza pidocchi. Se il mio compagno di classe, mettendo da parte le paghette mese dopo mese, è riuscito a comprarsi una bicicletta, lo invidio e grazie all’invidia posso fare anch’io la stessa operazione, a meno che io non abbia la certezza di non esserne capace. Allora l’invidia diventa odio, diventa patologica. Il mio scopo non è più raggiungere la bicicletta, ma distruggere colui che è riuscito a comprarsela, mentre io non ne sono capace. Quindi, per poter avere un’invidia di qualità occorrono in apparenza due fattori, in realtà tre: il desiderio di qualcosa che ha un altro e la certezza di non avere la capacità di raggiungerlo a mia volta sono i due più ovvi. Il terzo fattore è la incapacità di trovare vie alternative per raggiungere la stessa gioia che mi darebbe l’impossibile oggetto dei miei desideri. Occorre la capacità di spostare l’attenzione da quello che non si possiede e che non siamo in grado di avere, a quello che si possiede e potenziarlo.  Nick Vuijcic, leader motivazionale nato senza gambe e senza braccia, non ha sprecato disperazione a invidiare tutti coloro che sono nati sani, ha potenziato tutto quello che ha, per cui riesce a camminare e a nuotare, ha potenziato la mimica, il senso dell’umorismo, la dialettica, e ha imparato a consolare il mondo.  È interessante notare come le persone nate con malformazioni o malattie congenite, figli di madri valorose che li hanno sottratti al cortese suggerimento di un aborto, hanno un tasso di suicidio più basso rispetto alla popolazione di sani. In primo luogo hanno una mamma formidabile, una mamma che ha risposto un secco e indignato no al ginecologo abortista che con cortese fermezza proponeva l’assassinio del suo bimbetto come eroica via per migliorare il mondo, in secondo luogo imparano da piccolissimi, come unica possibile strategia di sopravvivenza, a spostare l’attenzione da quello che non hanno a quello che hanno e a sfruttare al massimo quello che c’è. Quindi alla fine la definizione di invidia nasce da tre fattori, il volere qualcosa che un altro ha, sapere che non siamo in grado di averlo e non avere nulla per sostituire quella gioia che non siamo in grado di raggiungere. La base dell’invidia quindi è l’incapacità a spostare l’attenzione da qualcosa che non abbiamo e che non possiamo avere a qualcosa che abbiamo. La cosa che non si ha diventa importantissima, l’unica che conta e se non la si può avere, nasce il desiderio di distruzione non solo dell’invidiato, ma del mondo intero: è lo schema del perdente radicale . Il perdente radicale è descritto nell’omonimo libro del filosofo tedesco Hans Magnus Enzensberger. Il perdente radicale è colui che non tollera che altri abbiano più di lui. Pur di distruggere coloro che hanno più di lui, è disposto a distruggere il mondo anche a costo del proprio sacrificio personale. Per chi non avesse voglia di leggersi Enzensberger, può bastare la fiaba di Biancaneve. Per quale motivo la regina di Biancaneve vuole assassinare Biancaneve? Biancaneve non vuole rubarle il trono, non le ha ucciso il gatto, è solamente più bella di lei. Quindi essere più belli, o più colti, o più bravi, o più capaci, o più ricchi, o più felici, diventa un buon motivo di una condanna a morte. Molti immigrati ci accoltellano perché abbiamo più di loro. Questo è stato sottolineato, ufficializzato, a Torino qualche anno fa: A Torino Stefano Leo ucciso ai Murazzi cinque anni fa è stato assassinato perché sorrideva, dal 27enne Said Machaouat con una coltellata mortale, e ci va parecchio odio per dare una coltellata mortale, non è una cosa da poco. La coltellata mortale oltretutto non è né la prima né l’unica opzione. Prendiamo atto del fatto che le persone frustrate diventano particolarmente aggressive, e tendono a prendersela col primo che capita, però ci sono diverse opzioni: occhiataccia, insulto, gomitata, calcio sull’alluce, calcio al ginocchio, ginocchiata, insulti alla madre, coltellata non mortale. Quindi il signor Said Machaouat sarà anche stato anche irritato col mondo, ma una coltellata mortale a uno sconosciuto perché aveva un’aria felice resta un gesto atroce che l’irritazione col mondo non basta a giustificare. Per arrivare a questo gesto occorre la struttura del perdente radicale: un odio al mondo totale che fiorisce su una struttura assolutamente arida, priva di qualsiasi capacità empatica. Un odio totale al mondo per cui si decide di danneggiarlo anche a costo di sacrificare la propria vita, di finire in prigione, e si decide di danneggiarlo levandogli il meglio. Un uomo che sorride è il meglio. Il mondo ha reso infelice il signor Said Machaouat e il signor Said Machaouat si è vendicato uccidendo la parte migliore del mondo: un uomo che sorride. A questo aggiungiamo il nostro timore che, magari in piccola percentuale, questo sia stato un delitto etnico, come forse quello del ghanese Kabobo, che uccise tre persone a picconate. Sicuramente sarebbe stato un delitto etnico quello dell’autobus che avrebbe dovuto bruciare con 51 ragazzini dentro. Ousseynou Sy, l’autista che nei pressi di San Donato Milanese nel 2019 ha dirottato verso Linate un bus con a bordo 51 ragazzini di una scuola media di Crema, ha dato fuoco al bus dichiarando di volerli uccidere per fermare le morti nel Mediterraneo. Ragazzini quindi “puniti” in quanto appartenenti a un popolo “colpevole” di vivere al sicuro. Descrivo questi episodi di qualche anno fa perché sono paradigmatici. Una nazione sana di mente con governanti sani di mente e una magistratura che ami e rispetti il popolo, dopo questi episodi avrebbe dovuto chiudere i porti e bloccare l’ingresso di individui che nei loro paesi di origine sarebbero anche stati funzionali, trapiantati malamente in una realtà che loro giudicano da un lato inarrivabile, dall’altro il giusto oggetto della loro predazione in quanto la disprezzano per motivi religiosi, diventano perdenti radicali. Da allora sono migliaia gli attacchi, persone uccise, oppure ragazzi e ragazzini aggraditi e umiliati per rubare cellulari e altro, ma soprattutto per levare la dignità, per calpestare. Sono migliaia le donne aggredite, dalle molestie fino alla stupro: la motivazione non è il desiderio erotico, ma il desiderio di umiliare e sporcare una donna che difficilmente si accompagnerebbe, quindi è irraggiungibile, ma che comunque è anche un’infedele che è giusto umiliare. A questo punto pretendiamo di essere rassicurati, non di essere insultati. Se questa nostra teoria è vera, allora i vari intellettuali, psichiatri, personaggi politici, disegnatori, cantanti e attori, gerarchie religiose, dirigenti del PD e chef alla moda, che passano il loro tempo a spiegarci che i veri responsabili in realtà siamo noi che non siamo abbastanza buoni, accoglienti e generosi, stanno facendo un disastro, perché con le loro incaute parole stanno aumentando il risentimento e l’odio verso di noi e verso i nostri figli. Pretendiamo di poter girare nelle nostre strade come si girava fino a 20 anni fa, con la certezza che nessuno ci avrebbe accoltellato o preso a picconate.

 

TagsKaboboOusseynou SySaid Machaouatstefano Leo
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Silvana De Mari

Nell’ora dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. (G. Orwell)

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