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Prodi

By Silvana De Mari
28 Marzo 2025
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Difficile stabilire quando la comunicazione di Romano Prodi ha raggiunto il livello più tragicamente privo di dignità. L’entrata nell’euro per l’Italia è stata una colossale truffa. La risibile frase: “lavoreremo un giorno di meno e guadagneremo come se avessimo lavorato un giorno di più” è passata alla storia. L’ingresso nell’euro ci ha tragicamente impoveriti, lasciandoci come unica consolazione il deridere questa frase nei nostri meme. Anche l’aggressione a Lavinia Orefici, di Quarta repubblica, giornalista non allineata e non appiattita, che si è permessa di ricordare, leggendola letteralmente, una delle frasi peggiori del pessimo manifesto di Ventotene non è stata bella. Il Manifesto di Ventotene è un programma tragico scritto da un gruppo di intellettuali dissidenti del fascismo, che quindi non erano finiti né in un lager nazista, né in un gulag sovietico o lao-gay cinese, ma su un’isola di una bellezza struggente, dove avevano avuto il tempo di coltivare qualche amore clandestino e di scrivere il programma per una distopia basata sull’abolizione della proprietà privata. Il non possedere nulla è per la creatura umana una situazione di dolore e impotenza. L’abolizione della proprietà privata, così da ridurre l’uomo a un deportato nudo davanti a uno stato sadico e onnipotente, è stata attuata dal dittatore cambogiano Pol Pot. Molti altri, principalmente Stalin e Mao Tse Tung, avevano tentato qualcosa di simile, ma colui che l’ha attuata completamente è stato Pol Pot, eppure nonostante la atroce tragedia cambogiana, individui almeno apparentemente adulti e in grado di intendere e  di volere, continuano a considerare testi che propugnano l’abolizione della proprietà privata, cioè puri distillati di spazzatura ideologica disumana e antiumana, come qualcosa di positivo. Il Manifesto di Ventotene, reperibile gratuitamente su internet, è stato ristampato ed è diventato il progetto di un’Europa disumana e in guerra con la Russia. Noi credenti non auguriamo l’inferno a nessuno, noi non lavoriamo per il Nemico. Auguro però a tutti coloro che hanno ammirato Stalin, Mao, Pol Pot e il dittatore etiope Menghistu, per citare solo quelli che hanno causato carestie così da sterminare con la fame il loro stesso popolo, di trascorrere qualche tempo del loro purgatorio in un Gulag, oppure in una prigione cinese, oppure direttamente nei campi della Cambogia di Pol Pot. Anche al deputato Federico Fornari che è scoppiato in lacrime affrante quando qualcuno si è permesso di leggere, semplicemente leggere, il testo distopico del Manifesto di Ventotene tanto amato dimostrando con la sola lettura che si tratta di un manuale di istruzioni per la distruzione dell’uomo, credo che qualche decennio di purgatorio nella Cambogia di Pol Pot farebbe bene e gli auguro anche di trovarsi prima o poi nei panni di un qualsiasi italiano che deve barcamenare il lunario con 1200 € al mese. La scena in cui Prodi aggredisce Lavinia Orefici come se avesse detto qualcosa di stupido (in effetti il manifesto di Ventotene non è molto intelligente. Quello che non era stupito, invece, anzi, era molto intelligente, è stato chiedere conto dello scritto a coloro che lo amano), è ripugnante. Il trattare da scema, l’aggressione fisica, il violare lo spazio corporeo, e il toccarla per i capelli, sono assolutamente indecenti. Peraltro persino questo episodio è meno indecente della seduta spiritica cui Prodi dichiarò di aver partecipato durante i giorni atroci del rapimento Moro. Il 4 aprile del 1978 Romano Prodi, dichiarò  che durante una seduta spiritica era stato pronunciato dallo spirito di turno il risposta alla domanda su dov’era tenuto prigioniero Aldo Moro, rapito in teoria da alcuni appartenenti alle Brigate Rosse condannati poi a pene ridicole, con la parola Gradoli. Gradoli è il nome di un paesino sul lago di Bolsena e di una strada di Roma. Fu rivoltato il paesino con annesso lago, mentre il posto buono era la strada. Come mi ricorda il generale La Porta, siamo molto amici, il 47° anniversario di via Fani è segnato da un silenzio e da un fracasso. Il silenzio è del Quirinale: per due anni consecutivi non ha speso una sillaba per via Fani. Secondo il generale il possibile motivo di questo silenzio è l’uscita del suo libro a marzo 2023, “Raffiche di Bugie a Via Fani”: in quelle pagine, fra tante falsità dello Stato – non della CIA o del KGB – dello Stato italiano, due prove nascoste svettano fra tanti falsi. La prima prova è costituita da quattro costole rotte ad Aldo Moro. Le fratture non sono consecutive e sono tutte fratture composte, quindi non dovute a un trauma accidentale, ma ad una precisa tecnica di tortura. Su queste fratture non è stato detto niente e su queste fratture in una autopsia assurda e frettolosa non sono stati fatti prelievi bioptici per stabilire la data in cui sono state inflitte e per verificare se ci fossero stati traumi successivi alla frattura primaria, frattura di trabecole ossee già rinsaldate, che avrebbe confermato la tecnica di tortura. La seconda verità su cui si è sorvolato è la presenza di esplosivo ad alto potenziale a via Fani. Ambedue queste prove occultate da magistrati della procura romana a otto corti d’assise, quattro commissioni parlamentari e alle parti lese, potrebbero rendere nulli i processi. Il fracasso arrivò da destra e sinistra. Subito dopo l’uscita del libro, nel 2023 si mosse Report di Rai3 e altre testate, accusando esplicitamente Henry Kissinger di quanto avvenuto a via Fani il 16 marzo 1978. Secondo La Porta una bufala grottesca, che smonterà nel prossimo libro. Nessuno però è andato a chiedere contro a Prodi di quella parola, Gradoli. Lo stato italiano magistratura inclusa crede alle sedute spiritiche. Matteotti è morto e coloro che lo hanno vigliaccamente assassinato sono morti. Chi ha mandato i dissidenti a Ventotene è morto. Che i morti seppelliscano i morti. Gli assassini di Moro sono vivi. Parliamo di Moro. E qualcuno convochi Prodi.

 

TagsGenerale La PortaLavinia Oreficiprodi
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Silvana De Mari

Nell’ora dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. (G. Orwell)

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