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Il troppo stroppia.

By Silvana De Mari
9 Dicembre 2022
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Sono appena stata rinviata a giudizio silvana de mari community

Il verbo stroppiare è una variante popolare e molto poco usata del verbo storpiare. Praticamente non esiste al di fuori di questo proverbio. In questo proverbio però è assolutamente perfetto, perché stroppiare assona vagamente a scoppiare: le cose scoppiano se ci metti dentro troppa roba. Scoppiano le borse, le valigie, e i sacchi della spesa fino a che esiste la possibilità di fare la spesa. Scoppiano le discariche, scoppiano e traboccano i cassonetti, per la gioia dei cinghiali di Roma, in passato capitale dell’arte e della cultura, oltre che del cattolicesimo, attualmente capitale dei cinghiali. I miei complimenti ai sindaci. Scoppiano le ideologie, a metterci dentro troppa roba, e questo, bisogna riconoscerlo, è una tragica caratteristica della sinistra. Si parte da un concetto giusto e inattaccabile, per esempio la dignità della donna, la dignità del pianeta, la dignità di ogni persona umana indipendentemente dall’orientamento sessuale che dichiara o dall’odio più o meno forte che ha per il suo corpo e per il proprio sesso, si gonfia fino a rendere il tutto enorme e deforme.  Odio per gli uomini, divinizzazione del pianeta e disprezzo per l’uomo che ne è considerato il cancro, distruzione delle protezioni giuridiche alla famiglia e annientamento delle libertà più elementari (inclusa quella di non amare il comportamenti antiigienici) sono l’esasperata conseguenza di battaglie in origine sensate. Il concetto del troppo che  stroppia è egregiamente spiegato nel libro Di bene in peggio. Istruzioni per un successo catastrofico di Paul Watzlawick pubblicato da Feltrinelli nella collana Universale economica. Il libro definisce “ipersoluzione” la soluzione eccessiva che crea un problema analogo se non più grave  di quello che si voleva risolvere. È necessario per realizzare questo geniale scopo una mente assolutamente manichea, gloriosamente spaccata sul concetto di bene assoluto e male assoluto, assolutamente incapace di comprendere il concetto di equilibrio, e anche quello di logica, ma soprattutto assolutamente incapace di comprendere il concetto di giustizia. L’ecologia sarebbe potuta essere una bella scienza, se fossi rimasta una scienza, un onesto sistema per migliorare i paesaggi, la qualità dell’aria e la vita. È diventata un tripudio di certezze che spiega come la mia  500 diesel inquini di più dei jet privati grazie ai quali i protettori del clima si riuniscono, che le bombe in Ucraina non producono anidride carbonica, mentre un condizionatore d’aria ne produce in quantitativi indecenti. È lo stesso tipo di scienza che ha spiegato che un caffè preso in piedi non contagia terrificanti malattie, mentre, se sorbito da seduti, potrebbe sterminare un quartiere. Anche il concetto di vaccinazione è stato una bella idea e in alcuni casi ha funzionato molto bene. Ora è diventato un dogma assoluto oltre che una fonte di reddito eccezionale per le case farmaceutiche, al punto tale che non c’è bisogno di grandi vocazioni al complottismo per cominciare a sospettare maledette connivenze, continui conflitti di interesse. Che una miocardite, una sclerosi a placche, una trombosi del seno venoso siano meglio di una malattia che, se curata correttamente, non con tachipirina e vigile attesa, ha lo 0,2% di mortalità è un’idea interessante, ma opinabile, ed è stata venduta come un dogma, trattando da poveri scemi o direttamente da feccia dell’umanità tutti quelli che si sono permessi di avere qualche dubbio.  Che aver iniettato in donne incinte farmaci che avevano scritto sul foglietto illustrativo frasi come: non sono conosciuti gli effetti a distanza, non sono conosciuti gli effetti sulla genotossicità, non è stato provato su donne incinte si è quindi non si raccomanda l’uso su donne incinte, è stato un sistema bizzarro per aumentare la salute del mondo. Anche che la razza ariana esistesse e fosse superiore ai suoi tempi è stato un dogma. Il salasso come cura per ogni malattia inclusa l’anemia è andato anche per la maggiore e ha portato innumerevoli pazienti all’incontro col Creatore, ma all’epoca era la scienza. Anche l’antirazzismo era partito benino, ma poi si è impantanato. Secondo Martin Luther King il razzismo consiste nel dare un peso diverso alla stessa azione a seconda di chi la commette. Faccio un esempio terra terra. Un signore di origine africana ammazza a picconate tre signori di origine non africana: nessun personaggio pubblico al funerale dei tre. Un italiano durante una rissa colpisce con un pugno un uomo di origine africana che per accidente cade sbattendo malamente la testa sul marciapiede e muore. Ben due ministri vanno al suo funerale. Secondo le obsolete teorie di Martin Luther King, questa sarebbe una forma di razzismo. Oggi è la norma, esattamente come la norma è che giovani di origine africana o, più raramente asiatica, restino deliziosamente impuniti dopo gesti di vandalismo o di aggressione a poliziotti e insegnanti. Anche i 60 milioni di euro, circa 12 miliardi di vecchie lire, elargiti a una simpatica imprenditrice di origine africana lasciano perplessi. Una signora italiana con lo stesso curriculum li avrebbe ottenuti? Con la stessa entusiastica carenza di controlli? L’avvocato Emanuele Fusi nel saggio White Guilt riporta una spaventosa serie di episodi di violenza, sia verbale che fisica, ai danni di bianchi innocenti e racconta l’assoluta indifferenza che accompagna questi episodi. Abbiamo marciato  e scritto in tanti contro i crimini dei sudafricani bianchi. Perché nessuno marcia e scrive per i crimini dei sudafricani neri? Nel suo libro Un colpevole quasi perfetto il saggista francese Pascal Brukner riporta un episodio terrificante.  In un saggio sottoposto alla rivista Sociology of Race and Ethnicity nel 2018, tre accademici americani, turbati dalla crisi del dibattito intellettuale negli Stati Uniti, propongono alla redazione alcuni passi scelti dal Mein Kampf sostituendo «ebrei» con «bianchi». Alla fine l’articolo viene rifiutato ma non prima di aver ricevuto il plauso di numerosi accademici che interpretano lo studio alla lettera: «Questo articolo ha le potenzialità per fornire un contributo forte e originale all’analisi dei meccanismi che rafforzano l’adesione a prospettive suprematiste bianche». I tre autori, Peter Boghossian, James Lindsay e Helen Pluckrose, si erano già fatti notare per altre bufale, molte delle quali erano state accettate da riviste di alto livello: una riguardava «la cultura dello stupro fra i cani che frequentano i parchi canini di Portland (Oregon)»; un’altra del 2017 sosteneva che il pene è una costruzione sociale e che è responsabile, fra le altre cose, del surriscaldamento globale. Questi ricercatori sono stati minacciati di licenziamento dalle loro università e sono stati accusati di fare il gioco della destra. È interessante notare come la cosa fondamentale sia non fare gioco della destra, che quindi è per antonomasia il male assoluto. Bisognerebbe regalare Di bene in peggio agli alfieri della sinistra e del politicamente corretto. Potrebbe essere un testo utile. Dello stesso autore un altro libro imperdibile ha l’ interessante titolo Istruzioni per rendersi infelici,  ma perché tediare dei professionisti con un manuale per dilettanti?

TagsDi bene in peggio. Istruzioni per un successo catastroficoPaul Watzlawick
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