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7 ottobre

By Silvana De Mari
7 Ottobre 2024
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C’è qualcosa di ancor più terribile di dover dolorosamente rievocare l’anniversario uno dei più feroci e sadici massacri nella storia contemporanea, motivato dal desiderio di cancellare un popolo dalla faccia della terra, da parte di organizzazioni che hanno la cancellazione di quel popolo nel loro statuto, e che oltre ad aver massacrato sadicamente continuano a detenere ancora ostaggi in una prigionia bestiale, dimostrando ulteriormente la loro natura criminale. È essere costretti a leggere ancora i commenti in malafede di coloro che tristemente continuano – per odio verso quel popolo e non per altro, come vorrebbero far credere – a equiparare chi ha come suo fine quello di sterminare a chi è costretto ogni giorno a difendersi dallo sterminio e a lottare, combattendo palmo a palmo, per la sopravvivenza di una delle società più civili, liberali, pluraliste, tolleranti del mondo. A equiparare le vittime civili volute e cercate sistematicamente con il terrore a quelle non volute, ma purtroppo inevitabili in ogni guerra (quanti milioni di vittime civili fece la guerra delle truppe alleate e delle resistenze contro Hitler in Europa?) soprattutto quando organizzazioni militari terroriste si nascondono in mezzo alla popolazione civile per usarla come scudo umano, e invocano il sangue dei propri stessi compatrioti per scagliarlo contro il nemico. Chi non comprende – o per odio atavico consapevole o inconscio verso gli ebrei fa finta di non comprendere – quanto è alta la posta in gioco nella guerra di sopravvivenza di Israele contro quanti per puro odio lo vogliono distruggere, e come solo la sconfitta di chi fomenta quell’odio (hamas, hezbollah, regime iraniano) può essere la premessa di una pace duratura tra Israele e i paesi arabi e musulmani del Medio Oriente (già raggiunta con Egitto, Giordania, Emirati, Bahrein, Marocco, in corso di trattativa con quasi tutti gli altri) e quindi di pace nella sicurezza reciproca anche per gli arabi di Gaza, Cisgiordania, Libano non merita di essere parte dell’Occidente, di godere del privilegio delle sue libertà e della sua sicurezza.

È passato un anno dallo spaventoso eccidio scatenato da Hamas contro i civili israeliani ai confini della striscia di Gaza: il peggiore atto di deliberato sterminio condotto contro gli ebrei dopo la shoah.

Quel massacro ha mostrato con brutale evidenza come l’odio antiebraico più profondo possa rimanere latente per periodi brevi o lunghi, ma è sempre pronto ad erompere di nuovo con violenza in superficie. E ha ribadito dati di fatto che chiunque ha occhi per vedere avrebbe dovuto continuare ad avere chiari da tempo.
In primo luogo, non soltanto la questione israelo-palestinese fu irrimediabilmente condizionata all’origine dall’ostinato e unilaterale rifiuto del mondo arabo di riconoscere la legittima esistenza dello Stato ebraico, ma almeno da mezzo secolo essa si è andata trasformando in una guerra di religione totale scatenata dall’islam integralista verso Israele ma anche verso gli ebrei in quanto tali, e più ampiamente verso l’Occidente e verso i cristiani in quanto tali.

In secondo luogo, nello stesso Occidente l’antisemitismo non è stato debellato con la fine del regime nazista, ma rimane come un fondo oscuro nel sentimento diffuso di larghe zone della società e della cultura politica, a destra come a sinistra, scatenandosi puntualmente ogni volta che si riaccende la tensione tra Israele e i suoi nemici, alimentato anche dalle tendenze alla radicalizzazione nelle numerose comunità di immigrati dai paesi islamici. Un sentimento riflesso ancora in tante reazioni irrimediabilmente sbilanciate contro Gerusalemme nelle fasi successive alla strage. Ed evidenziato per l’ennesima volta, da ultimo, anche in Italia dalla violenta manifestazione estremista tenutasi il 5 ottobre a Roma.

La guerra totale degli integralisti a Israele è stata aizzata e tenuta costantemente viva soprattutto dal loro maggiore centro di potere: la dittatura degli ayatollah instaurata in Iran nel 1979, animata dall’esplicita intenzione di cancellare l’”entità sionista” dalla carta geografica e di scacciare dal Medio Oriente il “grande Satana” statunitense, per assoggettare il mondo islamico alla sua egemonia. Ed è stata combattuta in primo luogo dagli emissari e sicari di quella dittatura – Hamas nei territori palestinesi e Hezbollah in Libano – tenendo le popolazioni sotto il giogo delle loro organizzazioni militari e tenendo Israele sotto la costante, incessante, quotidiana minaccia  del terrore indiscriminato.

Dopo una lunga serie di speranze e delusioni, dopo periodi di apparente calma e di nuove tempeste, il massacro del 7 ottobre 2023 ha rappresentato la prova definitiva del fatto che nessuna convivenza pacifica stabile tra Israele e i suoi vicini arabi potrà mai essere costruita finché rimane in piedi la centrale terroristica incarnata dal regime islamista sciita iraniano, e finché rimangono in grado di operare i suoi proxy.

Ciò emerge con ancora maggiore nitidezza se si considera che il pogrom antiebraico è stato ideato e perpetrato innanzitutto per uno scopo ben preciso: quello di far fallire il percorso diplomatico degli “Accordi di Abramo”, intrapreso sotto gli auspici della presidenza statunitense di Donald Trump, e sfociato nel 2020 nella normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Gerusalemme e vari stati arabi come Emirati, Marocco, Bahrein.

Gli Accordi erano stati una svolta decisiva nella strategia statunitense nell’area, con l’abbandono della fallimentare politica di appeasement nei confronti di Teheran portata avanti precedentemente dall’amministrazione Obama, e con l’obiettivo di favorire un’alleanza storica tra Israele e i paesi sunniti, isolando l’Iran destabilizzatore e ridimensionando le speranze dei suoi indiretti “padrini”, ossia Cina e Russia, di guadagnare spazio in Medio Oriente ai danni degli Stati Uniti e dell’Occidente.

L’approdo naturale decisivo di quel cammino sarebbe stato un patto diretto tra israeliani e Arabia Saudita, atteso con favore dal principe ereditario Mohammed bin Salman, intenzionato a creare un’area di cooperazione economica pacifica e a fermare definitivamente le mire di potenza regionale coltivate dagli ayatollah. Ma la presidenza Biden, seguita a quella di Trump, ha nuovamente rovesciato la linea statunitense, e ha tentato ancora una volta, con risultati altrettanto fallimentari che quella di Obama, di recuperare i rapporti con Teheran, raffreddando per molti anni quelli con Riad.

Così, l’eccidio del 7 ottobre, favorito dalla fatale debolezza americana, è riuscito a lacerare violentemente la tela di quelle trattative, riportando il caos in tutto il Medio Oriente. Esso ha sospinto nuovamente Israele verso l’isolamento, costringendolo al drammatico dilemma tra una reazione militare di portata tale da scoraggiare ulteriori aggressioni, ma destinata ad alimentare ancora una volta l’odio dei suoi vicini, e la rassegnazione a continuare a vivere sotto la perenne spada di Damocle del terrorismo di Hamas, Jihad islamica, Hezbollah, assistendo impotente alla disgregazione di ogni solida prospettiva futura di pacificazione.

Eugenio Capozzi.

 

Eugenio Capozzi
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Silvana De Mari

Nell’ora dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. (G. Orwell)

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