Logico e razionale il rifiuto dell’Università di Bologna.

Il rifiuto dell’Università di Bologna ad accogliere i giovani della Scuola Ufficiali è stato spiegato con la motivazione di voler evitare una “militarizzazione” dell’ateneo. Se la militarizzazione dell’ateneo è considerata una cosa bruttina, da evitare, vuol dire che essere militari è considerata una cosa se non proprio bruttina, non bellissima. Se qualcuno dei docenti della facoltà di filosofia dell’Università di Bologna si trovasse un figlio che dichiara di voler fare il militare (si può usare in temine coming out anche per questo caso?) sarebbe probabilmente ancora più sconvolto che se si trovasse un figlio che dichiara di voler diventare sacerdote della Fraternità San Pio X. Immagino riunioni di famiglia e sedute dallo psicologo per sapere “dove abbiamo sbagliato” e soprattutto “come di può rimediare”. Per quale motivo la militarizzazione dell’ateneo è considerata cosa drammaticamente negativa? I militari sono evidentemente considerati “esseri inferiori”, diciamocela in faccia questa verità, perché solo un verità come questa può giustificare il rifiuto. Sicuramente, forse all’interno delle loro anime, forse magari anche nelle loro parole o nei loro scritti, la maggioranza dei docenti, ma anche degli studenti, soprattutto delle facoltà di filosofia, antropologia e sociologia, è intrinsecamente convinta di essere filosoficamente, antropologicamente e sociologicamente superiore a uno che va a fare il militare. La presenza dei militari avrebbe rappresentato una piccola percentuale, ma evidentemente equivaleva la legge del tutto o nulla. Basta una percentuale minima perché l’insieme perda la sua “purezza”. Il secondo punto “negativo” consiste nel fatto che la gente in divisa, per definizione, deve intervenire dove ci sia un reato, anche se non sono poliziotti, ma militari. Da decenni le università italiane, ma soprattutto le facoltà di filosofia, sociologia e antropologia, sono diventate normali fucine di reati. L’apologia di rivolta armata, tanto per dirne una, è un reato. Invitare l’iman che inneggia all’assassinio degli ebrei e alla lapidazione delle adultere, è apologia di reato. Le università non arrivano ancora ai livelli di crimine normalizzato dei centri sociali, ma sono comunque fucine di reati, che hanno regalato al mondo un discreto numero di criminali, a cominciare dai brigatisti rossi e che ospitano un discreto numero di ex criminali a cominciare dagli ex brigatisti rossi. Scrivere sui muri, impensabile in molte università straniere, è considerato normale nelle nostre, ma rientra nel reato di vandalismo. Un docente che ricordi con affetto le Brigate Rosse o che citi con ammirazione il terrorismo palestinese, rientra nel reato di apologia di reato. Un militare presente dovrebbe intervenire. Ancora più importante è la terza motivazione: l’orrore per il senso critico. Le Università Italiane sono luoghi che hanno sbarrato il passo a Sua Santità Benedetto XVI, in una Università, la Sapienza, fondata dal Vaticano, e che accolgono a braccia aperte persone problematiche come la signora Albanese. Al momento attuale delle cose la facoltà di filosofia è diventata una falsa facoltà. Con il termine falsa facoltà intendo una facoltà molto politicizzata, dove tutti gli iscritti abbiano la stessa fede politica, puta caso la stessa dei docenti. Le facoltà di filosofia sono diventate l’anima della sottocultura woke, sottocultura post marxista, una sottocultura veramente sottocultura, perché già il marxismo a sua volta era una sottocultura. Detto in termini più salottieri, le facoltà di filosofia sono diventate la base del non pensiero woke. La discesa verso il basso è cominciata con il cosiddetto pensiero debole, la violazione del principio di non contraddizione, un termine aulico per indicare il pensiero scemo. Il non pensiero woke è basato sulla criminalizzazione della civiltà occidentale, e funziona su slogan, Palestina libera, l’aborto è bello, il sesso è un’opinione e si può cambiare, bianco fa schifo, Cristoforo Colombo era un pezzente, il movimento LGBT è tolleranza, l’Islam pure, i migranti sono un dono e dopo averci pagato le pensioni ci salveranno dai fascisti, i maschi sono stupratori a prescindere a meno che non siano gay e in questo caso sono un bouquet di virtù, i poliziotti sono cattivi, i militari sono peggio. Se i militari non esistessero, il mondo sarebbe un luogo di letizia, come nella canzone Imagine di John Lennon. In realtà non è difficile capire che un popolo disarmato ha come sole alternative diventare un popolo di schiavi o un popolo di morti. Lo scopo di questi slogan è garantire un’ affiliazione al gruppo. Chi li pronuncia ne ha in cambio l’impressione di far parte di qualche cosa ed esce da una situazione di angoscia cronica dovuto alla mancanza identità. L’identità si costruisce su elementi orizzontali e verticali. Nei primi venti anni di vita si basa essenzialmente su elementi verticali ricevuti, che sono: il nome che ci hanno dato i nostri genitori, maschile o femminile a seconda che siamo maschi o femmina, santificato nel battesimo (Dio), il cognome di nostro padre che ci lega anche agli antenati (famiglia), la nazione cui apparteniamo (patria). Solo nei decenni successivi l’identità si arricchisce di elementi orizzontali, lavoro, coniuge, passioni, per poi completarsi con gli elementi verticali discendenti, i figli. Dove non ci sia un senso di identità perché dove le parole Dio Padre e Famiglia sono considerate parolacce non si può formare, prevale il tribalismo woke, con gli slogan che stabiliscono l’appartenenza alla tribù. Chi non condivide lo slogan è un nemico , con cui non si discute. Gli allievi ufficiali sono persone di varie estrazioni sociali, di varie estrazioni politiche, alcuni sono di destra, altri sono di sinistra, ma nessuno di loro deve ricorrere alla sottocultura woke per risolvere un problema identità. Se loro fossero tra gli studenti, si perderebbe l’ omogeneità necessaria perché il non pensiero woke possa sopravvivere. Se questi studenti entrassero nell’università ci sarebbe il rischio insopportabile che si permettano di discutere, con gli altri studenti o addirittura col professore, magari con tono pacato e portando argomentazioni intelligenti, come faceva Kirk. Le nostre attuali strutture universitarie non possono permettersi gente non omologata e che osa discutere. Gli allievi ufficiali come Benedetto XVI resteranno fuori. Giustamente. Le Università sono posti per ex brigatisti più o meno non pentiti, e per Francesgca Albanese.







