Chi si contenta, gode
Sono due i proverbi che hanno a che fare con la contentezza, “chi si contenta, gode” e “cuor contento Dio l’aiuta”. Potremmo fonderli in una nuova massima: “chi si contenta gode, quindi è contento, quindi il ciel lo aiuta”. Il contentarsi è il primo fondamentale gradino alla contentezza, il non contentarsi il primo dello scontento, e lo scontento è il primo disequilibrio che con un micidiale effetto domino squilibra tutta la costruzione mentale, portando alla depressione e al suicidio. Il cuore per essere contento, dovrebbe credere in Dio. È possibile la felicità per un ateo, ma come evento saltuario e fragile, legato a una serie di fortunati eventi, a una elegante congiunzione di positività che di tanto in tanto avviene. Chi crede il Dio Gli è grato, di ogni cosa, dall’acqua all’aria, dalle scarpe ai piedi su cui metterle. La nostra fede può diventare talmente enorme, da ringraziare anche per il dolore, come il mezzo che Dio ha scelto per avvicinarci a lui. Da quando la fede il Dio si è spampanata, cioè negli ultimi decenni, la depressione è aumentata del 1200 %. E il suicidio? Contrariamente ad altre statistiche serenamente false che sostengono il contrario, come testimonia l’OMS, i suicidi sono in costante aumento. In un comunicato del 10 ottobre 2024, l’OMS riporta dati in base a quali si calcola che il tasso globale di mortalità per suicidio sia di 16 per 100 mila persone, con una morte ogni circa 40 secondi. Negli ultimi 45 anni il tasso di suicidio è cresciuto del 65% in tutto il mondo. Oggi il suicidio è considerato una delle tre principali cause di morte fra gli individui di età compresa tra i 15 e i 44 anni, in entrambi i sessi. Senza contare i tentati suicidi, fino a 20 volte più frequenti. Aver cacciato Dio dalle nostre vite, dal nostro normale quotidiano, dal normale correre dei nostri pensieri ha lasciato un vuoto che abbiamo cercato di sostituire con la psicologia, ed è stata una catastrofe. La psicologia ha un’effettiva indicazione e una reale utilità in pochissimi campi estremamente specifici. Per il resto cura molto poco per non dire nulla, e inchioda la persona a un continuo parlare di sé, a un continuo focalizzarsi su sé stessi, a un micidiale esercizio di deresponsabilizzazione, a un inevitabile scontento. Ovunque ci siano un eccesso di opzioni e una scarsezza di fede in Dio, arriva lo scontento. La fede in Dio ci permette di dare sempre un senso forte alla nostra vita, amare Dio ed esserne riamati. Se questo non c’è si crea un vuoto. Il vuoto si riempie solo dando un senso forte alla nostra vita, ma se sono disponibili opzioni in eccesso, non cerchiamo il senso della vita, ma un’altra opzione, e un’altra ancora e un’altra ancora. Con un altro lavoro potrei essere felice, con un altro coniuge potrei essere felice. In passato la felicità si cercava e si trovava in mezzo agli stessi paesaggi e agli stessi mezzi dei propri antenati. Si cercava e si trovava nel solo posto dove può essere: nella realtà cui apparteniamo. Ora, con la possibilità di scelta, non c’è fine allo scontento, come vorrei essere altro, come vorrei fare altro. Il divorzio, la possibilità di cambiare coniuge o convivente, moltiplica lo scontento a ogni nuova possibile occasione. La gravidanza poteva essere attesa o inattesa, accolta da benedizioni o maledizioni, ma in entrambi i casi, c’era, non esisteva l’opzione di terminarla con l’uccisione del bimbetto. Ora questa opzione esiste, una possibilità maledetta offerta come il frutto proibito offerto ad Eva, per soddisfare una tentazione che invece è maledetta. Un potere malefico che non concede la libertà di scegliere su nulla, se vivi in un bosco ti levano i figli, se non li vaccini o sei povero anche, ma se vuoi ammazzare il tuo bimbetto, che al potere non è molto simpatico perché il potere è neomaltusiano e favorevole alla sostituzione etnica, ti mettiamo a disposizione cliniche e medici, e sbattiamo fuori dagli ospedali coloro che non vogliono uccidere i bimbetti. Il senso del dichiarare l’aborto un diritto è questo. Se l’aborto è un diritto, non farlo sarà un reato. Innumerevoli gravidanze maledette all’inizio terminavano con la felicità della nuova vita. L’istinto materno è potente, a un certo punto salta fuori e travolge tutto. Salterebbe fuori, se non fosse stato soffocato dallo scontento. Molti bambini sono scontenti del loro sesso, soprattutto in questa epoca stupida dove padre e madre non sanno che uno dei compiti del loro amore reciproco è creare nei figli la fierezza del proprio sesso. Prima della pubertà il cervello ha una prevalenza dell’emisfero destro, i bambini hanno più emozione che ragione, non riconoscono la differenza tra vero e falso, credono a Babbo Natale. Alcuni credono che vorrebbero essere dell’altro sesso. È sufficiente arrivare alla pubertà e all’adolescenza perché questi pensieri siano cacciati. Ma un potere malefico offre il frutto avvelenato. Al bambino e alla bambina che si sentono inadeguati, un sentimento estremamente frequente per non dire normale in persone giovani, si offre l’illusione del cambio di sesso, vezzoso termine con cui si indica la castrazione. È importante insegnare ai nostri figli a combattere lo scontento. Lo scontento porta al suicidio, il suicidio diretto, ammazzo me, il suicidio differito, ammazzo la mia progenie nell’aborto, il suicidio parziale, ammazzo il mio essere maschio o femmina. In tutti i tre casi un potere avaro e gretto concede aiuti munifici. Per evitare lo scontento l’assetto emozionale che funziona meglio di tutti è la gratitudine. Se siete credenti, siate grati a Dio, altrimenti alla natura o all’universo. La gratitudine, che otteniamo concentrando l’attenzione su ciò che abbiamo, è l’assetto di neurotrasmettitori che aumenta la nostra potenza. Io sto scrivendo: ho le dita, le mani, gli occhi, il computer. Voi state leggendo: avete gli occhi per leggere. La gratitudine è ringraziare per ogni cosa ci aiuti a mantenere ciò che c’è di positivo nella nostra vita, e questo ci aiuta ad aumentarlo. Teniamo l’attenzione concentrata su quello che abbiamo, sulla bellezza di respirare, di avere un tetto sopra la testa; sulla bellezza, al mattino, di svegliarci nei nostri letti e andare a lavarci i denti con l’acqua pulita, il dentifricio e lo spazzolino. La gratitudine diventa dannatamente più difficile quando siamo confrontati con il dolore. La forza di una vita fragile. “Storia di una bambina che non doveva nascere”, Lindau 2008 di Sophie Chevillard Lutz, narra la felicità e la gratitudine con cui una famiglia ha accolto i sette anni di vita di un bimba gravemente disabile. ”Con la maglietta a rovescio” è il libro con cui Anna Mazzitelli e Stefano Bataloni raccontano la storia di Filippo morto di leucemia a 9 anni dopo tre trapianti di midollo. Questi libro non sono la storia di un’umanità dolente, ma di un’umanità trionfante. Hanno trionfato sul dolore. Hanno capito il dono terribile del dolore innocente, la prova che Dio manda per avvicinarci a Lui. Volevo fare un video a favore della vita, contro quella sciagura nazista che è l’aborto eugenetico, vezzosamente chiamato aborto terapeutico. Con l’aborto terapeutico sono sterminati un gran numero di bambini sani, per diagnosi errate, o con patologie curabili. Poi ci sono anche i bambini, oggettivamente malati. E ci sono video dove si vedono genitori, fisioterapisti che aiutano questi bimbi a fare cose che per altri sono normali come camminare e prendere un giocattolo grazie alla coordinazione neuromuscolare. Sui social funziona l’algoritmo. Non appena il social si è reso conto di cosa stavo guardando, mi ha offerto decine e decine di video di bambini nati malati, oppure di bambini che hanno subito amputazioni o sono rimasti sfigurati da malattie settiche o da ustioni. Tutti quanti con vicino a qualcuno che li ama e li aiuta, tutti quanti determinati a vivere una vita piena. Quello che l’algoritmo mi ha mostrato non è un’umanità dolente, ma un’umanità trionfante, che trionfa ogni giorno contro il dolore e contro l’impotenza, fratellini che aiutano i fratellini, fisioterapisti che si abbracciano quando la coordinazione finalmente permette un passo, quando la protesi permette di correre. Esistono i magnifici video di una giovane donna che affronta la vita con una sola gamba, l’unico arto di cui dispone, con un coraggio da leonessa. Nick Vujucic, nato senza gambe e senza braccia è un leader motivazionale. Il tasso di suicidio è molto più basso in questo esercito di combattenti. Hanno imparato da piccolissimi a tenere l’attenzione concentrata su quello che funziona, a fare il meglio che possono con quello che hanno. Come raccontato nei versi della poesia Invictus, per quanto possa essere enorme la notte che li circonda, sono e restano gli unici capitani della loro anima.





