I vestiti nuovi dell’Imperatore della banana di Carrel
Il fatto: un tizio chiamato Carrel ha appiccicato al muro una banana, e questa era un’opera d’arte. Grazie al fatto che quacuno ha mangiato la banana, Carrel ha ottenuto la notorietà necessria ad aumentare le quotazioni. Ci raccontano che è stata mangiata per sbaglio. Certo, perché è normale una banana attaccata al muro, in una mostra.
Per chi non la conoscesse riporto la spettacolare fiaba di Andersen sui vestiti nuovi dell’Imperatore. Due truffatori si rivolgono a un sovrano particolarmente vanesio e nettamente più scemo dello standard medio del regnante. Spacciandosi per maghi, gli vendono dei ” vestiti magici” che loro e solo loro sono in grado di fabbricare, ovviamente grazie a quantitativi notevoli di oro zecchino. Questi abiti di una bellezza celestiale hanno la spettacolare capacità di poter essere visti e toccati solo dalle persone intelligenti mentre sono invisibili e impalpabili agli sciocchi e a tutti coloro che occupano una posizione che a loro non spetta. Nessuno vede niente e ognuno pensa di essere l’unico. Il re ci casca, e con lui ovviamente tutta la corte: chi avrà il coraggio di dire che non vede nulla? Il giorno dell’incoronazione il re va in mutande, fortunatamente i due truffatori non producevano biancheria, le mutande erano vere, tutto tronfio coi suoi vestiti nuovi verso la gloria seguito da quattro cortigiani che sostenevano con attenzione e sussiego uno strascico che non c’è.
Esattamente lo stesso principio è presente nell’arte post- moderna. L’arte post -moderna non esiste, ma se ti azzardi a dire che non la vedi, ci fai la figura del deficiente. L’arte è una rappresentazione metaforica, emozionata ed emozionante. E’ quindi comprensibile con la parte analogica del nostro cervello: l’emisfero destro. Chiunque ci spieghi che l’arte post- moderna deve essere” capita” e che dobbiamo “studiare” per arrivare finalmente ad apprezzarla ci sta candidamente confessando che non si tratta di arte. I verbi capire e studiare ci spiegano che stiamo usando l’emisfero sinistro: l’arte non è lì. Se una persona analfabeta priva di qualsiasi conoscenza del cristianesimo, un aborigeno australiano o amazzonico si trova di fronte alla Natività di Giotto non capirà perché i due personaggi abbiano un disco dietro la testa, ma capirà che si tratta di una madre e un figlio che si stanno scambiando uno sguardo di straordinaria intesa, che c’è tra di loro un fiume di gioia, ma anche di consapevolezza dolorosa.
Chiunque si trovi di fronte al Narciso di Caravaggio intuisce che è un uomo che si specchia nell’acqua e che si è rinchiuso in questo specchiarsi come in una prigione. Queste immagini conservano la loro potenza e il loro significato anche al di fuori di una chiesa o di una mostra: se le incontrassimo in un garage, in un fienile, su un campo di battaglia le identificheremmo per quello che sono: opere d’arte. Tutta l’arte post-moderna non ha alcun senso al di fuori del museo, al di fuori della galleria. Il titolo è infinitamente più importante della “cosa”, anzi il titolo è la vera opera d’arte. La “cosa”, banana, orinatoio, barattolo che dichiara di essere pieni di escrementi, pallosissimi barattoli di minestra Campbell, è solo il pretesto per il titolo. Le “opere” sono sistemi grafici di comunicazione, molto più simili al linguaggio pubblicitario che non a quello artistico.
Molto dubbia è la notevole uniformità ideologica, in effetti il termine corretto è appiattimento ideologico. I valori sono sempre valori “di sinistra”, ecologismo, pacifismo, barconi, altro ecologismo, il denaro è sterco del diavolo, altri barconi, odio blasfemo verso il cristianesimo soprattutto cattolico, ma mai contro l’islam, anche perché l’islam tra le sue strepitose doti non ha il senso dell’umorismo, e come è già stato detto, il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare.
Nell’arte vera Goia raccontava l’orrore della guerra, mentre Simone Martini dipinge Guido riccio da Fogliano all’assedio di Montemassi, qualcuno dipingeva la corte, altri il popolo, qualcuno la Madonna, altri popolane più o meno discinte. Ora tutti a fare la stessa roba, il dubbio viene che , se qualcuno facesse qualcosa di diverso lo bloccherebbero. Quindi il cosiddetto mercato dell’arte, sarebbe solo un ulteriore controllo del pensiero unico.
E torniamo a Raffaello e Caravaggio, e già che ci siamo buttiamo nel calderone anche Michelangelo, Leonardo da Vinci, Canova e il povero van Gogh orridamente disprezzato ai suoi tempi. Mi scuso per tutti gli assenti ma devo scrivere un articolo non un volume della Treccani.
In tutti questi artisti ci sono due punti che sono sempre stati fondamentali nel calcolo del valore monetario delle loro opere: la tecnica e il tempo.
La tecnica e il tempo, quello necessario per apprendere la tecnica e quello necessario per creare l’opera, venivano misurati e pagati. Poi c’era certamente il talento, il genio. Michelangelo veniva pagato di più di un pittore con una visione meno potente, ma la tecnica veniva comunque pagata.
Per la Gioconda Leonardo da Vinci ha ricevuto un compenso pari al compenso di qualche mese di lavoro di un medico o di un ottimo artigiano: non un compenso completamente fuori misura, stratosfericamente superiore, di centinaia di volte superiore, di Migliaia di volte superiore. Per un dipinto grosso si prendeva di più che per un dipinto piccolo perché il lavoro va pagato e per fare un lavoro piccolo ci vuole meno tempo, e perché non ha senso pagare un non lavoro.
Nell’arte post-moderna si paga il “genio” o quello che viene ritenuto tale. Tutto il resto è irrilevanza. Immaginiamo che io organizzi un concerto: è evidente che darò più denaro a un concertista più bravo, che cercherò di preferire un concertista emozionato ed emozionante rispetto a uno solo tecnicamente bravo, ma in nessun caso sarò disposta a pagare migliaia e migliaia di dollari, (euro, altro) un concertista che, sia pure con tocco divino, suoni tre note. Come i vestiti nuovi dell’Imperatore l’arte post-moderna non esiste, il fatto che non esista permette di classificare arte qualsiasi cosa sia utile ai commercianti d’arte. Questo permette di creare un sistema completamente artificiale per far girare il denaro. E’ lo stesso concetto del cane da un miliardo scambiato per due gatti da mezzo miliardo ognuno.
Non sono contraria a questo tipo di arte per principio. Certo trovo ripugnanti “opere d’arte” come Piss Christ, fotografia realizzata nel 1987 da tale Andrea Serrano che rappresenta un crocifisso immerso nell’urina dell’autore oppure la celeberrima merda d’artista, realizzata nel 1961 da Manzoni, o all’opera d’arte di tale Paul Mc Cartey (omonimo del Beatle), consistente in grossi escrementi di travertino, ma altri manufatti meno scatologici, potrei trovarli interessanti. Per esempio trovo deliziosamente decorativi i tagli di Fontana. Se costassero ottanta, euro uno in casa me lo metterei. Potrei eccezionalmente arrivare fino a centodieci. Non oltre. Non oltre perché per fare un taglio è necessario un tempo di circa otto secondi. Calcolare un tempo di tre secondi in migliaia di euro vuol dire avere un’idea delirante dell’umanità e della divinità: vuol dire aver elevato un tizio qualsiasi, nemmeno eccezionalmente dotato (Michelangelo è un’altra cosa) a livello di semi-dio il cui tempo vale in maniera incalcolabile. Un secondo di Michelangelo veniva pagato in maniera umana, dieci volte di più del secondo di un artigiano, cento volte di più del secondo di un bracciante. Un secondo di Fontana è calcolato in maniera divina. Per copiare Michelangelo occorre comunque una tecnica notevole. Chiunque può copiare un Fontana. La facile “copiabilità” è un altro punto che dimostra come non si tratti di arte, ma di un banale sistema grafico di comunicazione, universalmente imitabile. Tutti possiamo copiare la banana, il barattolo di escrementi, la foto del crocifisso nell’urina, eccetera. Si paga l’idea? L’idea senza tecnica né tempo di preparazione è infatti un sistema grafico di comunicazione.
E ora torniamo ai vestiti nuovi dell’Imperatore. E’ sufficiente che uno solo abbia il coraggio di alzarsi in piedi e urlare la verità, il re è nudo, che l’incantesimo si rompe. Il re è nudo.
Una banana è una banana. Una banana appiccicata al muro con lo scotch non è un’opera d’arte, è una banana e chiunque la scambi con un’opera d’arte sta facendo un’operazione di snobismo, ha barattato la sua capacità critica di essere umano per il conformismo di coloro che decantano quanto sono belli i vestiti nuovi dell’Imperatore.