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Femminismo e altri disastri.

By Silvana De Mari
2 Marzo 2020
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arte postmoderna silvana de mari community

 

 

 

Il femminismo ha avuto due parti, il movimento di emancipazione femminile e il movimento di liberazione. Spesso confusi l’uno con l’altro questi due movimenti sono assolutamente antitetici. Il movimento di emancipazione era un onesto movimento che voleva diritti civili, pari opportunità e il diritto di gestire la propria sessualità senza essere ammazzate da qualcuno  che se la sarebbe cavata con tre anni grazie al delitto d’onore.  Il delitto d’onore poteva avere come vittima anche un uomo, ma solo nel caso del coniuge: la moglie poteva uccidere il marito sorpreso nel tradimento, mentre era valido se a essere soppressa fosse stata la figlia ( ma non il figlio).  Era un movimento che chiedeva che davanti alla legge prima di tutto si fosse una persona, e poi un uomo o una donna. Era basato sull’amore, l’amore per se stesse, per gli uomini, per la vita, per il mondo. Il movimento di liberazione è stato un movimento basato sull’odio, sull’odio i per i maschi, per la vita, per la maternità, la civiltà ebraico-cristiana, il mondo occidentale e soprattutto per le donne, cui ha conquistato il diritto di amputarsi la propria sessualità, che è una sessualità biologicamente incentrata sulla maternità, quindi sull’amore romantico, e si sono fatte imporre come una conquista civica una sessualità usa è getta di tipo maschile, anzi, una sessualità usa e getta propria degli uomini peggiori.

La strepitosa conquista del femminismo avrebbe dovuto essere  il diritto a diventare madre con tutte le facilitazioni, il diritto ad avere 20 mesi di aspettativa dal lavoro a stipendio pieno, oppure il diritto al reddito di maternità, perché tutta la società deve girare attorno al ventre gravido di una donna, perché una donna che porta una gravidanza fa una dono a tutto il mondo. E invece no, la grande conquista del femminismo è stato l’aborto, che è un suicidio differito, non uccido me, ma uccido la mia progenie, in grumetto di cellule che diventerebbe il mio bambino, la mia proiezione nell’eternità, la creatura che più dovrei proteggere. Noi siamo donne, domine, regine: l’aborto ci rende assassine del grumetto di cellule che dovrebbe diventare il nostro bambino.

La banalizzazione dell’aborto grazie alle femministe occidentali ha portato all’obbligo dell’aborto del feto femmina in India e Cina, all’obbligo di aborto del secondo figlio in Cina, ha portato all’aborto, in Cina, di non sappiamo quali donne, sospettiamo oppositrici o detenute, messe incinte appositamente per fornire le cellule cerebrali di feto al quinto mese che servono per rallentare la Sclerosi Laterale Amiotrofica. La banalizzazione dell’aborto ha portato al “lavoro” di vendere il proprio feto, come fanno le donne povere in Messico e alla gestazione per altri, cioè alla peggiore violazione del corpo femminile.

Con un pensiero analogico, basato cioè non sulla logica ma sull’analogia, sull’assonanza, sulla somiglianza, l’Occidente è equiparato alla forza e quindi al maschio prevaricatore e ha torto sempre e a prescindere, e tutto quello che non è Occidente –Africa, Asia, indiani d’America, eschimesi, indios – è debole e quindi equiparato alla femmina sfruttata e in quanto debole automaticamente al di sopra delle critiche. Una comprensione distorta delle tesi antropologiche di Lévi-Strauss porta alla paralisi del giudizio davanti a qualsiasi crimine commesso contro le donne o contro chiunque altro nelle civiltà extraeuropee. Il movimento di liberazione femminile porta all’estremo il concetto sessantottino di moralizzazione della debolezza. Chi è forte ha automaticamente torto. I perdenti e gli sconfitti sono automaticamente buoni. Qualunque dittatore africano, gli entusiasti delle mutilazioni genitali femminili, i lapidatori delle adultere e i propugnatori del matrimonio di bambine di otto anni, nell’ottica del movimento di liberazione femminile, sono la parte debole del mondo e quindi «femminili» e non criticabili. L’odio del movimento di liberazione femminile per l’ebraismo e il cristianesimo è assoluto. Tutte le altre religioni sono al di sopra di qualsiasi giudizio e chi se ne permette uno viene tacciato non solo di razzismo, ma di fallocrazia. Le appartenenti al movimento di liberazione femminile hanno portato i loro deretani inguainati in mutande di cotone rigidamente senza pizzetto a scodinzolare davanti a Khomeyni, in quanto leader che si opponeva alla fallocrazia borghese occidentale. Chiunque sia andato in piazza a bruciare il reggiseno era una persona con una gravissima dismorfofobia e alterazione dell’io corporeo, quasi sempre anche con disturbi alimentari; individui che, cito testualmente, hanno ritrovato il senso del loro esistere dialogando con la loro vagina. Dopo mezzo secolo di dialogo ora difendono a spada tratta il diritto della donna islamica a portare il burka e a essere lapidata e quella della donna occidentale di abortire anche tre, quattro o cinque o sei volte, senza capire che l’aborto è un suicidio differito, una ferita che resta nell’inconscio e sprofonda la donna in una cultura di morte. Nessuna contraddizione: la base di tutto questo è l’odio di sé. Distratti a fare idiozie invece che a essere un uomo e una donna, cioè un padre e una madre, abbiamo permesso il crollo della natalità, una crisi demografica ben più grave di quella della peste del ’300. Grazie all’immigrazione e alla maggiore natalità islamica rischiamo la libanizzazione, cioè di diventare una minoranza in una maggioranza islamica nel giro di mezzo secolo. Inoltre la mancanza di aggressività maschile porta alla mancanza di difesa del territorio: il territorio fisico, il suolo dell’Europa, e quello ideologico, la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, che, per universale ammissione dall’ONU e della Comunità europea, non può essere considerata superiore alla shari’a. Le periferie in fiamme, gli atti di terrorismo, gli stupri di massa come quello di Colonia tutti episodi di cui sono protagonisti musulmani in Europa da due o tre generazioni, dimostrano come questi maschi eunuchi privi dell’istinto della difesa del territorio abbiano permesso l’ingresso di una minoranza non integrabile, storicamente nemica, che grazie alla maggiore natalità sarà maggioranza entro breve. Davanti alle periferie in fiamme, ai quartieri dove i «bianchi» non entrano se non a loro rischio e pericolo, il momento è venuto di discutere su questa Europa ubriaca di idiozie che sostiene che una nazione accuratamente divisa in ringhiose minoranze, ognuna rinchiusa in un vittimismo pari solo all’aggressività, possa portare da qualsiasi parte che non sia una guerra civile permanente e assoluta. La crisi economica avanza: non siamo in grado di garantire nessun lavoro a nessuno, nessuna vita decente a nessuno.

Le femministe censurano le immagini:  che non sia mostrato cosa è il feto abortito. Censurano la pietà: la mamma e il papà che hanno perso il loro bimbo durante la gravidanza non possono seppellirlo perché altrimenti si afferma che in feto è una persona e questo è “un’aggressione alla donna”, censurano la scienza, perché non si può parlare della maledetta sindrome post aborto, che noi finanziamo con i nostri soldi perché l’aborto è gratuito, come se il feto fosse un tumore.

Ogni singola donna che ha messo al mondo un figlio ha fatto la storia e modificato l’eternità. Qualsiasi maschio può scoprire il radio. Solo noi possiamo diventare madri. Maria Curie ha avuto due figlie, non ha sacrificato la maternità. Tra miliardi di anni le anime delle sue figlie esisteranno ancora. Il processo creativo di essere madri è superiore a qualsiasi opera umana. Qualsiasi donna che ha dato la sua tenerezza a un bimbo non suo ha fatto la storia. La fesseria che facciamo la storia quando facciamo cose che fanno gli uomini rinunciando a essere femmine, madri, è la trappola mortale. Portiamo i bambini negli odiati asili nido a soli 4 mesi, rinunciamo a avere figli per non disturbare il lavoro, ci precipitiamo a abortire se la gravidanza può disturbare le nostre spettacolari carriere scolastiche. Abbiamo dato via la primogenitura per un piatto di lenticchie

Il grumetto di cellule nasce dalla sessualità, che è magnifica: ognuno si completerà con un corpo diverso da suo, il corpo ruvido e forte degli uomini ha bisogno del corpo liscio e morbido delle donne e il corpo liscio e morbido delle donne ha bisogno del corpo forte e ruvido degli uomini, corpi fatti per unirsi e comprendersi e completarsi. E quando questi corpi si completano si ha il dono infinito di un figlio.

Una creatura umana che non esisteva e che esiste perché il corpo di padre e madre si sono completati, ed è nato un figlio. Che è un figlio. È colui che ha dato luce alla nostra vita con la sua esistenza. Ha dato luce alla nostra vita mettendo al mondo figli che sono i nostri nipoti oppure ha dato luce alla nostra vita per pochi anni. O per pochi giorni. o per poche ore. Un figlio rende un uomo e una donna genitori, proiettandoli nell’eternità. quando una donna resta incinta, diventa madre. E questo non si può più disfare. L’aborto non disfa il suo essere madre. Una volta incinta la donna non può più scegliere se essere madre o no; può sceglier se essere la madre di un bimbo vivo o di un bimbo morto.

Tagsabortofemminismo.movimento di emancipazionemovimento di liberazione
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Nell’ora dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. (G. Orwell)

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