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Vittime ( prima parte)

By Silvana De Mari
12 Dicembre 2021
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Il primo significato della parola vittima, vocabolo dall’etimo incerto, è quello di animale o essere umano che viene consacrato alla divinità e ucciso nel sacrificio. Solo per estensione il vocabolo può essere utilizzato per indicare le vittime di guerra o di un qualsiasi altro  tipo di sciagura o calamità: le vittime del terremoto, della droga, della strada, della montagna, e, ovviamente le vittime di un’epidemia o di un farmaco particolarmente disastroso.

Il primo significato però è quello di vittima sacrificale, qualcuno ammazzato per ottenere un vantaggio metafisico. Non possiamo avere quindi due tipi di aggressività: un’aggressività spinta a ottenere un guadagno tangibile e un’ aggressività che potremmo definire gratuita, detta anche aggressività maligna, che non è tesa a ottenere alcun guadagno comprensibile. Se una persona uccide un’altra persona per derubarla, commette un atto sicuramente ignobile, ma che indubbiamente ha un senso riconoscibile. Inoltre possiamo ipotizzare che questa persona, se non ha niente da guadagnarci, non ucciderà nessuno. Se una persona uccide un’altra persona senza guadagnarci nulla, o addirittura ci rimette per ucciderla, allora siamo di fronte a un’ aggressività maligna dove guadagno è di tipo impalpabile, nel senso letterale del termine di non tangibile, non nel senso di inesistente. Il guadagno è quindi riferito all’anima e non al corpo, e l’anima può aspirare a qualcuno di molto in alto può qualcuno di molto in basso: il sacrificio umano è la base di ogni messa nera di qualità. I satanisti sono assolutamente certi dell’esistenza di Satana sono assolutamente certi dell’esistenza dell’inferno. Nella loro sublime ingenuità sono convinti che all’Inferno fanno parte dello staff. Questo è il grande inganno. In realtà fanno parte dell’utenza. Anima in greco si dice psiche. Può essere un guadagno psicologico, un vantaggio per il proprio ego.

Sono nata a Santa Maria Capua Vetere provincia di Caserta. La città anticamente si chiamava Capua, a un certo periodo fu addirittura la seconda città d’Italia, seconda solamente a Roma. La gloria finì con l’arrivo di Annibale, un tizio che arrivava dalla Tunisia e che per arrivare fino a Roma passò dalla Spagna dalla Francia e superò le Alpi, tutto questo tirandosi dietro degli elefanti. Gli elefanti impressionarono i Romani, che normalmente si impressionavano poco, ma l’elefante introduceva sul campo di battaglia un terrore nuovo, quello di finire schiacciato come un socio. Bisogna arrivare ai blindati per ritrovare un terrore del genere. Dopo un paio di vittorie Annibale si fermò a Capua a riprendere fiato, l’episodio è ricordato col nome di ozi di Capua. Fu un’idea non troppo astuta. Mentre lui si riposava i romani riuscirono a contrattaccare, sia in Italia che in Africa, dove tale Scipione,  detto appunto l’Africano, portò la guerra direttamente. Annibale se ne tornò a Cartagine, lasciando gli elefanti e i Capua anni a scontare l’irritazione dei Romani. I Romani erano gente irritabile e Capua  finì distrutta. Fu ricostruita con una certa fatica e divenne la sede della  scuola dei gladiatori, questo è motivo per cui aveva un anfiteatro straordinario, secondo per dimensioni e bellezza solo al Colosseo. Questo incredibile sfoggio di straordinaria cultura ha due scopi, chiarire come sia sempre utile avere una qualche conoscenza delle guerre puniche, teoria al momento attuale non universalmente condivisa, e ricordare l’esistenza del Colosseo e di tutti gli altri circhi. È stato calcolato che nell’arco dei vari secoli il numero delle persone perite negli scontri tra gladiatori e soprattutto torturate a morte con vari sistemi, ammonta a diversi milioni. Lo scopo di tutto questo era semplicemente il divertimento di coloro che guardavano.

Contrariamente a quello che riteneva Rousseau con la sua disastrosa teoria del buon selvaggio, il cervello umano è naturalmente feroce. L’odio è un piacere che si autoalimenta, come tutti i piaceri. Causare dolore a un altro, torturarlo o vederlo torturare, ci dà un senso di potenza. Basta guardare i cartoni, i Looney Tunes, i vecchi cortometraggi della Disney: si ride di Gatto Silvestro, di Wile Coyote, di Paperino o Pippo che cadono da altezze vertiginose, prendono colpi sulla testa, sulla faccia o sul sedere, cadono sui chiodi, nei nidi di calabrone, esplodono, vengono calpestati da schiacciasassi. Nel delizioso film di animazione La carica dei 101, i due malfattori passano un mucchio di guai. Nella trasposizione in film con veri attori, molti ridono davanti alla scena di un uomo che diventa una statua di ghiaccio o che prende la corrente elettrica. Allo stesso modo nel Colosseo si godeva il dolore altrui.

Ci sono trasmissioni «comiche» fabbricate con video di persone che si fanno male, Paperissima ad esempio.

I quattro ragazzi che cospargono di benzina il barbone e gli danno fuoco per sentirsi forti e potenti davanti alla sua impotenza e al suo dolore, stanno applicando uno schema che era la norma nel Colosseo e in innumerevoli culture. Il sacrificio umano è ossessivamente presente nell’umanità: la colpa di ogni frustrazione e quindi il senso della propria impotenza vengono addossate a una vittima, il nemico o un appartenente al gruppo, e tutto il gruppo, grazie alla soppressione della vittima, supera la frustrazione e riacquista il senso della propria efficacia.

Questo comportamento esiste anche negli animali, indicato con il verbo inglese to mob, da cui il più noto mobbing. Quando un branco di lupi o coyote è con le spalle al muro, ha perso il territorio, è in una situazione che definiremmo di frustrazione e impotenza, massacra uno dei propri componenti, qualcuno che per un qualche motivo è un marginale. In questa maniera il branco recupera un po’ di proteine e il senso della propria potenza.

In epoca preistorica e nelle epoche storiche più rozze la ferocia, almeno in teoria, poteva forse essere funzionale alla sopravvivenza immediata. Il piacere nella distruzione di indifesi è la base del genocidio, del terrorismo contro civili, del serial killer e delle dittature particolarmente feroci con i propri stessi sudditi, da quelle comuniste alle più pittoresche tirannie africane.

Perché noi siamo uomini ed essere uomini è terribile e straordinario.

Dal punto di vista neurobiologico la compassione è più facile nei neuroni specchio. I neuroni specchio sono la grande scoperta dell’ultimo decennio, sono per la neurobiologia quello che il DNA è stato per la biologia ha detto il neurologo indiano Vilayanur S. Ramachandran. I neuroni specchio ci spingono a imitare chi ci sta di fronte ed è grazie a loro che i bambini imparano in un tempo minimo una lingua, come ci si muove, come ci si comporta, ma sono anche quelli che ci permettono di capire il senso del comportamento degli altri: chi sta sorridendo è sereno e chi sta piangendo è disperato. Grazie ai neuroni specchio le emozioni si contagiano. Chi è sereno, chi sorride molto, chi porta nel mondo la sua cortesia spande luce attorno a sé. Chi è aggressivo, scortese, lamentoso sparge buio, il buio spesso descritto in Il Signore degli Anelli, quello che non è semplice assenza di luce, ma qualcosa che ha il potere di distruggerla.

I neuroni specchio sono maggiormente presenti nel cervello femminile: noi dobbiamo diventare madri. Se non fossimo empatiche lasceremmo morire i nostri neonati di fame, coperti dai loro escrementi. Noi ci commuoviamo davanti a un bambino che piange, davanti ai film dove qualcuno muore e davanti a un bel po’ di pubblicità.

I maschi sono meno empatici; se lo fossero troppo non potrebbero svolgere i due ruoli che già nelle scimmie antropomorfe sono maschili: il cacciatore e il guerriero.

Questa regola conosce miriadi di eccezioni, ma nelle sue grandi linee è rispettata in ogni civiltà umana. Se si tortura un bambino, il numero di neuroni specchio diminuisce, sarà meno empatico.

Ancora di più che nei neuroni specchio, la compassione l’etica sono nelle narrazioni, nelle fiabe, nei poemi epici, e, soprattutto, in quella che è la prima narrazione: Dio ti ha creato perché ti ama e perché tu possa amare Lui e il tuo prossimo.

La ferocia all’interno dell’uomo, il suo desiderio di avere una  vittima e di immolarla è può essere talmente grande che questa massima è stata dimenticata persino in epoche profondamente religiose, ma è dove queste narrazioni non ci sono che la ferocia non conosce più limiti e le vittime non si contano più a unità ma metri cubi.

 

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Silvana De Mari

Nell’ora dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. (G. Orwell)

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